Le celle a combustibile sono dispositivi di conversione dell’energia da chimica in elettrica, attraverso una reazione elettrochimica isoterma e isobara.
Il loro principio di funzionamento, così come la geometria costruttiva, è assimilabile a quello di una pila redox con la differenza che i reagenti non sono immagazzinati all’interno della stessa ma vengono forniti dall’esterno, inoltre né l’elettrolita né gli elettrodi vengono consumati durante la reazione; quindi in sede ideale l’autonomia di funzionamento dipende unicamente dalle scorte dei reagenti, che, come accennato, vengono immagazzinati all'esterno della cella.
La reazione è quindi una ossidoriduzione, pertanto le specie chimiche da poter utilizzare come combustibile sono in teoria molte, l’unico parametro richiesto è una elevata reattività elettrochimica tale da consentire un potenziale di Nerst di almeno 1V.
Attualmente le uniche specie chimiche che sono state utilizzate con successo sono: l'idrogeno e l'ossigeno grazie alla relativa facilità di approvvigionamento degli stessi.
Nelle realizzazioni pratiche l’ossidante è costituito da ossigeno puro ovvero, come avviene nella maggior parte dei casi, dall’ossigeno contenuto nell’aria, il riducente è una miscela gassosa ricca di idrogeno proveniente da un processo di reforming di un idrocarburo e solo le celle ad ossidi solidi e quelle a carbonati fusi[1] possono accettare il gas naturale come combustibile.
Gli elettrodi della cella hanno una struttura porosa per permettere una rapida diffusione dei reagenti nell’elettrolita, la dimensione dei pori è generalmente compresa tra i 2 e i 50 . Questo tipo di struttura manifesta uno sviluppo superficiale diversi ordini di grandezza superiore rispetto agli elettrodi convenzionali; disporre di una superficie molto estesa significa poter realizzare un gran numero di siti attivi ovvero di zone in cui far avvenire la reazione.
Mediante l'utilizzo di catalizzatori si riesce ad ottenere una eccezionale cinetica chimica e conseguentemente un elevata densità di corrente superficiale.
Agli elettrodi spetta anche il compito di asportare i prodotti di reazione e talvolta anche l’acqua in eccesso proveniente dal sistema di umidificazione dell’elettrolita[2]
L’elettrolita ha il compito di trasportare le specie ioniche tra anodo e catodo, è richiesto un elevato valore di conducibilità elettrica ed una buona stabilità della composizione chimica, può avere natura acida o basica, generalmente è l’elemento preso a riferimento per classificare le varie tipologie di celle a combustibile.
La figura che segue mostra una schematizzazione del funzionamento di una Fuel Cell.
Fig. 1.1 – Principio di funzionamento di un pila a combustibile
La tensione di una singola cella non è ovviamente compatibile con le richieste di un utilizzatore finale, si realizzano quindi stack di 20, 50, 100 o più celle con connessione elettrica in serie al fine di elevare la tensione e quindi la potenza prodotta.
L’alimentazione dei reagenti è invece in parallelo al fine di inviare ad ogni elemento una miscela gassosa con stessa concentrazione efficace.
Risulta estremamente difficile riuscire a soddisfare quest'ultima specifica, poiché soprattutto in stack con un gran numero di celle anche piccolissime perdite di carico nelle linee di alimentazione dei reagenti possono portare ad uno squilibrio nella distribuzione dei fluidi compromettendo il buon funzionamento non solo di una singola cella ma di tutto lo stack.
Fig. 2.1 – Rappresentazione
di uno stack
Rispetto ai sistemi convenzionali di conversione dell’energia[3] le pile a combustibile presentano vantaggi sia come rendimento sia come emissioni inquinanti. Analizziamo separatamente gli impianti di potenza ed il settore trasporti.
· elevato rendimento di conversione;
· ridotte emissioni inquinanti;
· silenziosità;
· naturale propensione per la cogenerazione;
· possibilità di realizzare impianti con taglia da 5 kW ad 1 MW senza compromettere l'efficienza;
· modularità degli impianti.
Attualmente la ONSI ha installato oltre duecento Power Plant da 200 KW di tipo ad acido fosforico che sembrano aver raggiunto la completa maturità tecnologica.
Nel settore industriale dove la cogenerazione è estremamente diffusa, l'integrazione delle celle a combustibile porterebbe ad un notevole aumento dell'efficienza del sistema produttivo.
Le ridottissime emissioni di tale tecnologia potrebbero decretare il successo commerciale di microimpianti cogenerativi anche per uso domestico, a tal proposito la Johnson Matthey[4] prevede di commercializzare, a partire dal 2001, un reformer per metano per alimentare una cella a combustibile da 5 KW, gli analisti della stessa prevedono che questo tipo di impianti potrebbe nel medio termine avere una diffusione paragonabile a quella dei personal computer.
Fig. 3.1- Efficienza di Power Plants
· Ricerca su combustili alternativi, ad esempio metano e Gpl.
· Realizzazione di veicoli elettrici ed ibridi.
Per quanto riguarda il primo punto in Italia sta sorgendo una rete di distribuzione del metano realizzata dal gruppo ENI mentre esiste già da anni un circuito di distribuzione del Gpl; sebbene l'utilizzo di questi combustibili sia in forte espansione, attualmente solo una piccolissima parte del parco macchine circolante è in grado di utilizzarli.
A partire dai primi anni ’90 il California Air Resources Board stimò che per la fine del millennio sarebbe stata disponibile la tecnologia per realizzare veicoli a emissioni zero i cosiddetti ZEV; oggi non possiamo far altro che constatare l'acuirsi del problema ambientale ed ammettere di essere lontani dall’aver raggiunto l’obbiettivo ricercato.
Nuovi scenari mostrano come le celle a combustile impiegate inizialmente su veicoli ibridi (FC-Batterie) e successivamente su veicoli puramente elettrici (FC) possano permettere il raggiungimento del goal prestabilito.
La tabella seguente mostra i requisiti che il DOE (Department of Energy ) ed il PNGV ( Partnership for a New Generation Vehicle ) hanno stabilito affinché le FC rappresentino una alternativa, tecnologicamente ed economicamente, valida ai motori a combustione interna.
Caratteristiche |
Sistema Celle |
Trattamento combustibile |
Efficienza |
55% |
80% |
Densità di potenza |
0,4 Kw/l |
0,5 Kw/l |
Potenza specifica |
0,4 Kw/l |
1 Kw/l |
Costo |
30 $/Kw |
10 $/Kw |
Tempo di avviamento |
30 sec. |
1 min. |
Durata |
5.000 ore e 100.000 miglia |
5.000 ore e 100.000 miglia |
Tab. 1.1- Goals programmati dal PNGV per l'anno 2000
Il tipo di elettrolita impiegato caratterizza la tipologia della pila non solamente perché ne determina la tecnologia costruttiva ma soprattutto perché determina il movimento degli ioni all’interno della cella.
Nel seguito verranno illustrate le caratteristiche principali dei diversi tipi di cella.
Gli elettroliti alcalini sono costituiti da un soluzione di KOH con concentrazione variabile dal 35 al 85%; essi presentano un elevata capacità di trasporto ed un ottima tollerabilità nei confronti dei materiali.
Il maggior inconveniente è costituito da fatto che la CO2 presente nei gas di alimentazione reagisce con il KOH formando K2CO3 e quindi alterando la concentrazione dei portatori di carica.
Questa caratteristica limita l’uso dei reagenti ad idrogeno ed ossigeno puri.
Non potendo utilizzare l’ossigeno contenuto nell’aria si è costretti a complicati dispositivi di purificazione e stoccaggio dell’ossidante che rendono questa tecnologia utilizzabile solo per applicazioni molto particolari come ad esempio il settore aereo spaziale.
Gli elettroliti acidi sono costituiti da una soluzione di acido fosforico con concentrazione del 100%. Per ottenere una buona conducibilità ionica è necessario esercire lo stack ad una temperatura prossima ai 200 °C; a queste temperature i catalizzatori presentano una buona tolleranza al monossido di carbonio, è quindi possibile realizzare impianti affidabili ed a costi abbordabili.
I maggiori problemi di questo tipo di tecnologia sono costituiti dall’elevata polarizzazione catodica e dal continuo controllo necessario per mantenere costante la concentrazione dell’acido.
Al momento attuale le PAFC utilizzate in impianti di potenza sono quelle che hanno incontrato il maggior successo commerciale avendo dimostrato una ottima affidabilità ed emissioni ridottissime. La figura seguente confronta le emissioni di un impianto ad acido fosforico con gli standard stabiliti dal Los Angeles Basin che risultano essere tra i più severi finora decretati.
Fig. 4.1 - Confronto tra le
emissioni inquinanti
A partire dagli anni settanta sono stati realizzati alcuni prototipi di veicoli azionati da PAFC ma attualmente ci si sta orientando verso elettroliti solidi.
Gli Elettroliti polimerici presentano un vantaggio rispetto ai casi precedenti poiché non è necessario alcun tipo di manutenzione o controllo della composizione dell'elettrolita.
Uno degli aspetti più delicati nella realizzazione di un veicolo alimentato a celle a combustibile consiste nella possibilità di avviare il dispositivo nel minor tempo possibile; unicamente le celle polimeriche, la cui temperatura di funzionamento è compresa tra i 50 e 120 °C, permettono di eseguire delle procedure di start-up paragonabili ad un motore a combustione interna.
Sebbene la temperatura di esercizio relativamente bassa favorisca l'avviamento a freddo, costituisce tuttavia un problema per il Platino con cui sono realizzati gli elettrodi, infatti la tolleranza di questo tipo di catalizzatore nei confronti del CO aumenta con l'aumentare della temperatura.
Per garantire il trasporto di ioni, le membrane devono essere costantemente umidificate tramite un apposito dispositivo, inoltre l’acqua prodotta dalla reazione deve essere asportata dall’esausto catodico prima che possa intasare i siti di reazione, questi due fatti concomitanti rendono il bilancio dell'acqua all'interno della cella una delle procedure più difficili da gestire.
Le ridotte dimensioni degli stack unite ad un efficienza relativamente elevata stanno favorendo una rapida diffusione di questa tecnologia sia nel settore stazionario che nella trazione.
Le celle a carbonati fusi utilizzano una miscela di carbonati di potassio e sodio trattenuti da una matrice di LiAlO2, alla temperatura di esercizio questi elementi fondono e permettono il trasporto ionico. Non sono richiesti metalli nobili come catalizzatori, il nichel con cui sono realizzati gli elettrodi svolge in maniera adeguata anche il compito di catalizzatore della reazione.
L’inconveniente più grande deriva dal fatto che al catodo, oltre all’ossigeno, deve essere fornito CO2 necessario per formare i carbonati inoltre l’elettrolita è estremamente corrosivo.
La temperatura di funzionamento di questo tipo di celle, circa 650 °C, rende assai semplice l’abbinamento con un reformer di idrocarburi; il CO eventualmente presente nei reagenti costituisce un combustibile e non è quindi di nessun intralcio al corretto funzionamento dell’impianto.
La temperatura del calore di reazione è sufficientemente elevata da poter essere utilizzata per la produzione di vapore o per azionare una turbina a gas.
L’insieme di queste caratteristiche evidenzia che il miglior campo di utilizzo per questo tipo di tecnologia è negli impianti di potenza di media e grande taglia.
E’ infine possibile utilizzare come elettrolita ossidi solidi di metalli non porosi, solitamente Y2O3 (Yttria) stabilizzato con ZrO2, anche in questo caso la temperatura di funzionamento è elevata: 650- 1000 °C.
Per sopportare gli stress termici che derivano da tali temperature sono richiesti materiali e tecnologie costruttive complessi e costosi.
Dal punto di vista impiantistico valgono le stesse considerazioni fatte per le celle a carbonati fusi.
Le tabelle che seguono riassumono le caratteristiche
fondamentali dei vari tipi di tecnologia
Tab. 1 a |
Tipo elettrolita |
||
Alcalino |
Polimerico (SPFC) |
Polimerico (DMFC) |
|
Temperatura funzionamento |
80-250 °C |
50-120 °C |
80-120 °C |
Pressione (abs) bar |
|
1,5 - 4 |
1,5 - 4 |
Materiale elettrodi |
|
grafite |
grafite |
Elettrolita |
idrossido di potassio KOH |
membrana polimerica (acido
perfluorosolfonico) |
Membrana polimerica (acido
perfluorosolfonico) |
Catalizzatore |
Palladio, nichel platino,
argento |
platino |
platino |
combustibile |
H2 |
H2 |
CH3OH |
Prodotti di reazione |
H2O |
H2O |
H2O CO2 |
Rendimento elettrico |
60% |
55-60 % |
30-40% |
Stato della tecnologia |
impianti di piccola
potenza |
Stack in avanza fase di
sperimentazione |
Ricerca |
Possibili applicazioni |
spazio, generatori
portatili, trazione |
trazione, spazio,
generatori portatili, impianti di potenza |
Trazione, spazio,
generatori portatili, impianti di potenza |
Problemi e necessita
R&S |
CO CO2 assenti
nei gas di alimentazione |
Catalizzatori, membrane, CO |
Catalizzatori, membrane, CO |
Tab. 2.1 - Classificazione
delle Fuel Cell
Tab. 1 b |
Tipo elettrolita |
||
acido fosforico |
carbonati fusi |
ossidi solidi |
|
Temperatura funzionamento |
150-230 °C |
600-700 °C |
800-1100 °C |
pressione bar |
|
|
|
elettrodi |
|
|
|
elettrolita |
acido fosforico H3PO4 |
carbonati di metalli
alcalini |
ossido di zirconio
stabilizzato con ossido di calcio |
catalizzatore |
platino |
nichel |
" |
Combustibile finale |
H2 |
H2 |
H2 |
Prodotti di reazione |
H2O, CO2 |
H2O |
H2O |
Rendimento elettrico |
40% |
|
|
Rendimento totale |
85% (cogen.) |
|
|
Stato della tecnologia |
200 imp. da 200 mw, 2 imp.
da 4.5 mw 49 imp. da 40 kw |
pile di piccola potenza |
singole celle, piccole
stack da laboratorio |
Possibili applicazioni |
impianti di piccola
potenza, piccoli generatori, cogenerazione |
impianti di potenza,
cogenerazione |
Impianti di potenza, cogenerazione |
problemi e necessita
R&S |
catalizzatori, CO <1%
perdita di elettrolita, polarizzazione catodica |
stabilita elettrodi ed
elettrolita, H2 CO2 nell'ossidante |
contatti elettrici tra le
celle |
Tab. 3.1 - Classificazione
delle Fuel Cell
Come accennato le reazioni dipendono dal tipo di elettrolita utilizzato, le tabelle che seguono mostrano le semireazioni e le reazioni complessive nei casi di nostro interesse.
Tipo di cella |
Reazione all’anodo |
Reazione al catodo |
PEMFC |
H2®2H++2e- |
½ O2+2H++2e-®H2O |
AFC |
H2+2(OH)-®2H2O+2e- |
½ O2+H2O+2e-®2(OH)- |
PAFC |
H2®2H++2e- |
½ O2+2H++2e-®H2O |
MCFC |
H2+CO3=® H2O +CO2+2e- |
½ O2+CO2+2e-®CO3= |
CO+CO=3® 2CO2+2e- |
||
SOFC |
H2+O=®H2O+2e- |
½ O2+2e-®O= |
CO+O=®CO2+2e- |
||
CH4+40=®2H2O+CO2+8e- |
Tab. 4.1- Semireazioni agli elettrodi
Tab. 5.1 - Reazioni
complessive
Gli elettrodi sono sicuramente la parte più critica della Fuel Cell, nel doppio strato elettrodo/soluzione si concentrano le maggiori cause di irreversibilità[5] della reazione, il buon funzionamento degli stessi incide quindi fortemente sull’efficienza complessiva del sistema.
Un enorme sforzo progettuale è attualmente indirizzato all’utilizzo di idrogeno proveniente da reforming di idrocarburi, le miscele gassose così ottenute contengono sostanze che possono provocare l’avvelenamento dei catalizzatori, in particolar modo il monossido di carbonio si adsorbe sul platino bloccandone i centri attivi.
E’ importante sottolineare che la quantità di catalizzatore incide in modo significativo sul costo complessivo della cella, stime accurate condotte dal DOE[6] dimostrano che sarà possibile ottenere il successo commerciale di questi dispositivi unicamente se si riusciranno a ridurre le quantità di catalizzatore richiesto.
Il disegno di seguito riportato evidenzia il moto dello ione portatore di carica all’interno della cella.
Fig. 5.1 - Moto dei portatori di carica
Abbiamo già accennato ai processi di trasporto di massa dei reagenti e dei prodotti, un elettrolita in grado di condurre con facilità gli ioni permetterà un elevata cinetica chimica che tradotta in termini di prestazioni equivale ad un elevata potenza prodotta; inoltre il basso valore di resistenza al movimento delle cariche corrisponde a ridotte perdite per effetto Joule e quindi ad un elevata efficienza nel processo di conversione.
Anche la concentrazione efficace dei reagenti è vincolata dai processi di trasporto in quanto nell’interfaccia tra elettrodo ed elettrolita si ha un forte gradiente di concentrazione causato dalla scomparsa del reagente consumato, qualora la struttura dell’elettrodo non permettesse la corretta diffusione di nuove particelle si andrebbe incontro ad una polarizzazione di concentrazione che diminuirebbe la tensione della cella.
Infine l’evacuazione dell’acqua prodotta sia che si trovi allo stato liquido che di vapore deve essere sufficientemente rapida da non allagare l’elettrodo.
In definitiva il trasporto di massa determina il limite superiore della velocità della reazione e contribuisce in maniera determinante agli effetti di polarizzazione.
Le densità di corrente ottenute con degli elettrodi normali, sono di solito dell’ordine di 1¸5 mA/cm² a causa della limitata superficie disponibile per far avvenire le reazioni. Per ottenere un’elevata densità di corrente vengono quindi usati gli elettrodi porosi nei quali la maggiore superficie disponibile aumenta notevolmente la quantità dei siti di reazione, inoltre una geometria ottimizzata favorisce le proprietà del trasporto di massa.
In un elettrodo poroso ideale, si ottiene un’elevata densità di corrente quando lo strato elettrolitico sulla superficie dell’elettrodo è sufficientemente sottile, così che esso non ostacoli il trasporto di reagenti nelle zone attive, stabilendo inoltre un’interfaccia trifase stabile.
Quando un’eccessiva quantità di elettrolita è presente nella struttura porosa degli elettrodi, la polarizzazione di concentrazione tende ad assumere grandi valori e si dice che l’elettrodo è “allagato” (v.§ 2.3.1). Gli elettrodi usati nelle celle a combustibile a bassa temperatura sono costituiti da una struttura composita di grafite e Pt catalizzatore legati da PTFE (politetrafluoroetilene). In questi elettrodi porosi il PTFE è idrofobo e permeabile al gas, mentre la grafite oltre ad avere un certo grado di idrofobicità è un conduttore elettrico e fornisce un’elevata superficie di sostegno per il catalizzatore.
Nelle celle a carbonati fusi, operanti ad alte temperature, non è possibile realizzare materiali che possano rendere la struttura porosa impermeabile all’ingresso dei carbonati fusi. Con un’appropriata scelta della forma dei pori e del tipo di elettrolita si fa in modo che la forza capillare stabilisca un equilibrio dinamico nella struttura porosa.
In una cella ad ossidi solidi non è presente un elettrolita liquido che può muoversi nella struttura porosa degli elettrodi. L’interfaccia trifase comprende quindi due fasi solide (elettrolita/elettrodo) ed una gassosa. Per rendere l’interfaccia il più estesa possibile gli elettrodi devono essere molto sottili.
Le celle ad elettrolita polimerico, rappresentano il miglior candidato nel campo della trazione elettrica, l’idrogeno è il solo combustibile che può essere attualmente utilizzato, tuttavia si sta tentando di realizzare dei dispositivi in grado di convertire direttamente il metanolo eliminando così i severi vincoli di sicurezza, di approvvigionamento e di stoccaggio dell’idrogeno; i vantaggi di questa tecnologia possono così sintetizzati:
· elettrolita solido e non corrosivo;
· compattezza e leggerezza degli stack;
· rapidità nelle procedure di start-up;
· utilizzo di aria come ossidante.
[1] Unicamente nel caso di reformer interno
[2] Questo fenomeno avviene nelle celle ad elettrolita polimerico, si vedrà in seguito che il water management costituisce un grosso problema per questo tipo di celle
[3] intendiamo impianti basati su generatori di vapore, turbine a gas e motori a combustione interna
[4] Nel 1999 la Johnson Matthey ha ricevuto il premio Italgas per il suo reformer HotSpot
[5] Si tratta di sovratensioni di attivazione e di concentrazione, tale argomento sarà trattato in seguito.
[6] Dipartimento di energia degli stati uniti d’America